15 luglio 2011

Caro Monsignore se sapesse …

(News.va – L’osservatore Romano) - Le lettere consentono di rileggere le tappe più importanti dell'esperienza personale e spirituale del futuro Paolo VI, compreso il poco documentato periodo trascorso in Segreteria di Stato....
Nel 1842, pubblicando a Venezia il suo Dizionario estetico, a proposito delle Lettere d'illustri italiani, lo scrittore e patriota italiano d'origine dalmata, Niccolò Tommaseo, scriveva: "Non c'è scritti che io più desideri vedere stampati, delle lettere degli uomini chiari per le doti dell'animo e dell'ingegno: ché quivi s'apre il campo allo studio del cuore umano e allo studio dei tempi". Il giudizio del Tommaseo riesce ancora oggi a esprimere al meglio la gratitudine con cui gli studiosi e i cultori della memoria di Paolo VI hanno accolto le pubblicazioni di testi e carteggi montiniani (promosse soprattutto dall'Istituto Paolo VI di Brescia).
Preziosa appare dunque la pubblicazione di un volume curato da monsignor Stefano Siliberti, Il vescovo Menna e Papa Paolo VI. Amici in Cristo (Mantova, Editoriale Sometti, 2010, pagine 127, euro 13). Con questo libro infatti il curatore - docente di storia ecclesiastica e autore di diversi studi sulle vicende storiche e religiose della diocesi di Mantova - offre allo studio e alla meditazione un intenso carteggio, rimasto fino a oggi inedito, intercorso nell'arco di quarant'anni tra Giovanni Battista Montini e Domenico Agostino Menna, futuro vescovo di Mantova, d'origine bresciana. Tra le numerose lettere pubblicate, sono predominanti per numero e consistenza quelle scritte da Montini, che già nel 1917 (prima ancora di diventare sacerdote) aveva avviato una corrispondenza sincera col conterraneo, protrattasi sino alla morte di quest'ultimo nel 1957. Lo scambio epistolare ci consente anche di rileggere le tappe più importanti dell'esperienza spirituale e umana del futuro Pontefice (dall'ordinazione sacerdotale sino agli anni dell'episcopato milanese) illuminando in particolare - attraverso confidenze, commenti, osservazioni e riflessioni personali - il meno documentato periodo trascorso dal giovane Montini a Roma, in Segreteria di Stato, al diretto servizio dei Pontefici Pio XI e Pio XII.
Quando, nel 1914, il giovane Montini iniziò a frequentare stabilmente monsignor Menna, divenendo suo ospite, durante i periodi estivi, nell'abitazione di Chiari e, dagli anni Venti, anche presso la sua villa campestre a Camaldoli di Gussago (sulle colline bresciane), questi era allora pro-vicario (dal 1918 sarebbe diventato vicario generale) della diocesi di Brescia, guidata dal vescovo monsignor Giacinto Gaggia. Menna, che apparteneva a una benestante famiglia di Chiari (ove era nato il 15 novembre 1875), aveva completato i suoi studi a Roma, specializzandosi in diritto canonico, disciplina che avrebbe poi insegnato al Seminario di Brescia, annoverando tra i suoi studenti anche il giovane Montini. Negli anni giovanili Menna aveva conosciuto personalmente il Patriarca di Venezia, Giuseppe Sarto, futuro Pio X, col quale mantenne sempre rapporti affettuosi e di profonda devozione e del quale sarebbe divenuto successore come vescovo di Mantova; peraltro, Pio X conferì all'ancora giovane sacerdote bresciano l'incarico onorifico di prelato domestico di Sua Santità.
Sebbene sembrasse non condividere gli orientamenti politici dei cattolici bresciani, impegnati nel Partito popolare sturziano, tuttavia Menna stimava molto Giorgio Montini (che fu esponente di punta del locale movimento cattolico) e intrattenne con lui e la moglie Giuditta Alghisi rapporti di amicizia fraterna. Alla vigilia dell'ordinazione sacerdotale del figlio, il 23 maggio 1920, proprio Giuditta Alghisi scriveva alla sorella del vicario, Teresa: "Mi stia vicina col cuore, colle preghiere, io mi sentirò appoggiata ad un valido, fraterno aiuto. Ella può facilmente immaginare come in questi giorni il mio povero cuore sia commosso da mille emozioni. Mi sento così piccola, indegna dinnanzi alla grandezza di quanto si sta per compiere nella vita di un mio figliolo". Qualche mese dopo, sempre la signora Montini, ringraziando ancora Teresa Menna per aver seguito il cammino del figlio verso il sacerdozio, scriveva: "Il bene che Battista riceve dal loro affetto, dalle loro gentilezze non è facile misurarlo (...). È il segreto delle amicizie cristiane, è il segreto della bontà vera e fatta di virtù che sa profondere i tesori di attenzioni e di previdenze".
La benevolenza con cui monsignor Menna fu vicino al novello sacerdote non venne meno quando Montini si trasferì a Roma. Molti furono anche allora gli scambi epistolari tra i due. In quelle lettere il giovane studente narrava alcuni aspetti della sua vita quotidiana, dipingendola talvolta con tratti di insospettabile umorismo. Nell'aprile 1925, dopo aver compiuto "l'esoterica iniziazione ai misteri della Segreteria di Stato", il futuro Pontefice confidava: "Se sapesse, Monsignore, quale laboriosa cura di soggezione, di povertà, di spirito richiede pur questa vita al terzo piano del palazzo del Papa. Se fossi rimasto in una parrocchia avrei dovuto farmi piccolo per comprendere e servire la buona gente di Chiesa, qui devo farmi piccolo per servirne e comprenderne la gran gente; colla differenza forse di sentirmi più simile alla psicologia dei camerieri. Però v'è il suo lato buono anche in ciò: e come! Non veni ministrari sed ministrare!". Alcuni mesi dopo, nel novembre dello stesso anno, Montini descrivendo la sua vita romana "solita, più qualche noia insolita", dimostrava di aver ormai adottato "il detto argutamente proprio del Quirita": il "tiro a campà", adeguandosi con ironia al costume dei romani.
Non mancavano tuttavia anche alcune considerazioni sulle vicende politiche nazionali. "Sono invece molto impressionato per le deformi condizioni spirituali che vanno creando i fatti politici - scriveva Montini nella medesima lettera del novembre 1925, mentre il fascismo consolidava il suo regime dittatoriale - e quantunque resti affatto estraneo all'osservazione assidua della cronaca, e tanto meno alla partecipazione anche minima alla medesima, pur sento, e con dolore, che ci allontaniamo, gonfi di fanatismo e di partigianeria dalla pace degli spiriti e dalla ricerca cosciente, sia pure imperfetta, della giustizia, della concordia e dell'ordine". Il mese successivo, il giovane sacerdote confidava all'amico vescovo "ansie e trambusti" che lo angustiavano, e invocava il soccorso della Provvidenza. Riflettendo sulle difficoltà incontrate nell'esercizio quotidiano del suo ministero, rinnovava comunque il suo abbandono umile e fiducioso alle misteriose disposizioni della Volontà divina. "È che noi si pretende sempre di raggiungere un esito fabbricato dalla nostra ragione, quando non sia dalla nostra vanità e lesiniamo e spendiamo in ordine a questo la nostra cooperazione con l'invito del Signore a lavorare e soffrire, mentre bisognerebbe essere più generosi e più umili. Pazienza!". Anche quando, il 16 novembre 1928, monsignor Menna, che aveva una personale conoscenza di Papa Ratti e di alcuni suoi familiari, venne da questi nominato vescovo di Mantova, il rapporto epistolare con Montini proseguì. Il sacerdote bresciano, impegnato dal "molto lavoro e amarezze al solito", continuò a scrivere all'antico amico, come "un figlio, che non dimentica, specialmente ove il ricordo vale: nella preghiera" e non taceva qualche riflessione velata di malinconia.
Nell'agosto 1938, mentre il quadro politico internazionale stava irrimediabilmente deteriorandosi, Montini - che nel dicembre precedente era divenuto Sostituto alla Segreteria di Stato - udendo il suono delle campane dal suo ufficio in Vaticano, lanciava un auspicio: "Che suonino gloria a questo povero regno di Dio, ogni giorno più minacciato ed attaccato. Ma la Provvidenza veglia". E proprio l'illimitata fiducia nella Provvidenza attutiva anche quel disagio, avvertito dal Sostituto, per la sproporzione fra "le cose grandi da servire e le poche forze a disposizione". Il contatto epistolare tra i due amici proseguì in maniera costante anche durante il travagliato periodo bellico. Diverse furono anche le occasioni di incontro, a Roma e Camaldoli, ove Montini continuò a essere accolto durante alcuni dei sempre più esigui momenti di ristoro estivo. Nell'agosto 1943, ospite del deputato bresciano Giovanni Maria Longinotti presso il lago di Vico, Montini, fortemente impressionato dal precipitare degli eventi bellici, ricordava con malinconia le estati trascorse sulle colline bresciane. "Vi ho pensato anch'io rammentando con gratitudine le belle giornate passate lassù; ma il ripensarla - aggiungeva il Sostituto, che in quell'anno, a distanza di pochi mesi, aveva perso entrambi i genitori - mi riempie altresì di tristezza per la desolazione dell'ora attuale e di tutto quanto il tempo ci ha rubato nella sua corsa fatale".
In quella stessa lettera (28 agosto 1943), Montini, turbato dall'imprevedibile evoluzione della storia presente "piena di timore e d'angoscia", confidava le drammatiche impressioni riportate nella visita, al fianco di Pio XII, alle zone della capitale devastate dai bombardamenti. "La visita col Papa (...) resterà incancellabile per la mia memoria: ma vi è immagine che meglio esprime le forze in contrasto di questo dramma sinistro, una delle quali, la bontà cristiana, è ridotta alla pietosa condizione di piangere e d'accorgersi di quali tragedie sia ormai capace il mondo dimentico di Cristo?". E nel descrivere la vita quotidiana in quei mesi di guerra, aggiungeva: "Si vive nel panico come se fosse l'atmosfera normale: non è di questo che parla il Vangelo quando ci fa vigili per la fine del mondo? Eppure ho davanti il quieto ed aprico panorama del lago di Vico! Ma sopra, come uccelli di sventura, rombano squadre d'aeroplani. Dio ci aiuti!".Ma solo due mesi dopo, rispondendo al vescovo e rincuorandolo per l'amarezza suscitata dal precipitare degli eventi, Montini invocava quale conforto in quel drammatico contesto la virtù prediletta, e da lui praticata in ogni declinazione, della Carità (termine che molto spesso, nei suoi testi autografi, come in questa lettera dell'ottobre 1943, scrive in maiuscolo). "Forse dovremmo consentire alla Carità, attraverso la nostra pena e il nostro ministero, un'effusione nuova e così forte da compensare nel bene l'immensa potenza del male. Vince in bono malum".
Con quest'animo il Sostituto si impegnò assiduamente nel coordinare le attività dell'Ufficio informazioni sui prigionieri di guerra, costituito presso la Segreteria di Stato, promuovendo allo stesso tempo le iniziative della Pontificia commissione per l'assistenza ai reduci. Ma, all'indomani della liberazione del nord del Paese, il 28 aprile 1945 (lo stesso giorno in cui venne ucciso Mussolini) era Montini a chiedere informazioni a Menna, mentre seguiva "con immensa trepidazione" le ultime vicende. "Notizie? Le desideriamo immensamente, immaginando quante se ne nascondano di dolorose fra quelle che preludono alla fine della guerra".
Tanti e diversi continuarono a essere negli anni gli argomenti affrontati in questo fecondo scambio epistolare tra i due sacerdoti bresciani, vincolati da un'amicizia antica "che non dimentica le date" e ricorda le persone "di qua e di là dei confini del tempo", e che si protrasse fino al 1954. Quell'anno infatti segnò una svolta, inattesa, nella vita di entrambi. In autunno, a distanza di poche settimane, il vescovo di Mantova dovette lasciare la sua diocesi, mentre il Sostituto abbandonava la Segreteria di Stato per succedere al cardinale Schuster quale arcivescovo di Milano. Montini in quel delicato frangente, fu molto vicino a Menna, il quale, in obbedienza alle disposizioni superiori, rassegnò le dimissioni, ritirandosi nella sua proprietà di Camaldoli e lasciando il governo pastorale della diocesi nelle mani del vescovo Antonio Poma che, da alcuni anni, gli era stato affiancato come coadiutore. Lo stesso giorno della sua ordinazione episcopale, avvenuta il 12 dicembre 1954, Montini scriveva con riconoscenza all'antico maestro: "Ho ringraziato il Signore, ho ringraziato il Santo Padre, ho ringraziato chi mi ha consacrato: ora, e subito, voglio ringraziare Vostra Eccellenza Reverendissima, nella Quale vedo riassumersi quanti mi hanno voluto bene e mi hanno guidato su la via del sacerdozio di Cristo". Il nuovo arcivescovo di Milano, pur tra gli impegni della grande diocesi ambrosiana ("immenso campo, dove c'è tanto buon grano, e tanta zizzania") non trascurò il rapporto con l'antico maestro. Spesso gli faceva visita a Camaldoli, tornando ancora, come nei lontani anni giovanili, a essere suo atteso ospite in quei luoghi familiari. Questi incontri si ripeterono periodicamente, fino all'estate del 1957. Dopo la scomparsa di monsignor Menna, avvenuta l'8 ottobre, Montini, per quanto invitato ancora dal segretario del vescovo defunto, non tornò più a Camaldoli.
Le lettere pubblicate in questo volume si presentano dunque ricche di notizie, informazioni, commenti utili allo studioso per comprendere la storia. Esse svelano però tra le righe, in maniera ben più edificante, il segreto di un'amicizia cristiana, "il segreto della bontà vera e fatta di virtù, che sa profondere i tesori di attenzioni e di previdenze".
di ELIANA VERSACE

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