1 maggio 2011

Editoriale di Andrea Tornielli

La commozione di Benedetto XVI:

"Papa Wojtyla profumava di santità"

(Andrea Tornielli*) - CITTA' DEL VATICANO
«Il giorno atteso è arrivato, è arrivato presto, perché così è piaciuto al Signore: Giovanni Paolo II è beato!». È commosso Benedetto XVI mentre ricorda, tra gli applausi della folla stipata fino all’inverosimile in piazza San Pietro e nei dintorni, il predecessore che oggi, ad appena sei anni dalla morte, sta elevando agli altari.
Lui, da decano del collegio cardinalizio, ne aveva celebrato i funerali. «Già in quel giorno – dice – noi sentivamo aleggiare il profumo della sua santità, e il popolo di Dio ha manifestato in molti modi la sua venerazione per lui. Per questo ho voluto che, nel doveroso rispetto della normativa della Chiesa, la sua causa di beatificazione potesse procedere con discreta celerità».
«La beatitudine eterna di Giovanni Paolo II – ha aggiunto Papa Ratzinger – che oggi la Chiesa ha la gioia di proclamare, sta tutta dentro queste parole di Cristo: "Beato sei tu, Simone" e "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!". La beatitudine della fede, che anche Giovanni Paolo II ha ricevuto in dono da Dio Padre, per l’edificazione della Chiesa di Cristo».
Benedetto XVI ha ricordato che Wojtyla ha sottolineato «con forza» durante i quasi 27 anni di pontificato «la vocazione universale alla misura alta della vita cristiana, alla santità, come afferma la Costituzione conciliare Lumen gentium sulla Chiesa». Quindi ha citato le parole che nel testamento Giovanni Paolo II ha dedicato al Concilio: «Desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del Concilio Vaticano II, al quale insieme con l’intera Chiesa – e soprattutto con l’intero episcopato – mi sento debitore. Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito. Come vescovo che ha partecipato all’evento conciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo. Per parte mia ringrazio l’eterno Pastore che mi ha permesso di servire questa grandissima causa nel corso di tutti gli anni del mio pontificato».
E qual è questa "causa", si è chiesto Ratzinger? È la stessa che Giovanni Paolo II «ha enunciato nella sua prima messa solenne in Piazza San Pietro, con le memorabili parole: "Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!". Quello che il neo-eletto Papa chiedeva a tutti, egli stesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile».
Benedetto XVI ha quindi pronunciato qualche parola in polacco, ricordando come Wojtyla abbia aiutato «i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la verità è garanzia di libertà».
«Ci ha ridato la forza – ha continuato, riprendendo a parlare in italiano – di credere in Cristo, perché Cristo è Redemptor hominis, Redentore dell’uomo: il tema della sua prima enciclica e il filo conduttore di tutte le altre. Karol Wojtyła salì al soglio di Pietro portando con sé la sua profonda riflessione sul confronto tra il marxismo e il cristianesimo, incentrato sull’uomo. Il suo messaggio è stato questo: l’uomo è la via della Chiesa, e Cristo è la via dell’uomo. Con questo messaggio, che è la grande eredità del Concilio Vaticano II e del suo "timoniere" il servo di Dio Papa Paolo VI, Giovanni Paolo II ha guidato il popolo di Dio a varcare la soglia del Terzo Millennio».
Il Papa ha ricordato come Wojtyla abbia dato al cristianesimo «un rinnovato orientamento al futuro, il futuro di Dio, trascendente rispetto alla storia, ma che pure incide sulla storia. Quella carica di speranza che era stata ceduta in qualche modo al marxismo e all’ideologia del progresso, egli l’ha legittimamente rivendicata al cristianesimo, restituendole la fisionomia autentica della speranza, da vivere nella storia con uno spirito di ‘avvento’, in un’esistenza personale e comunitaria orientata a Cristo, pienezza dell’uomo e compimento delle sue attese di giustizia e di pace».
Benedetto XVI ha voluto riservare le ultime parole dell’omelia a un suo ricordo personale. «Vorrei infine rendere grazie a Dio anche per la personale esperienza che mi ha concesso, di collaborare a lungo con il beato Papa Giovanni Paolo II. Già prima avevo avuto modo di conoscerlo e di stimarlo, ma dal 1982, quando mi chiamò a Roma come Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, per 23 anni ho potuto stargli vicino e venerare sempre più la sua persona. Il mio servizio è stato sostenuto dalla sua profondità spirituale, dalla ricchezza delle sue intuizioni. L’esempio della sua preghiera mi ha sempre colpito ed edificato: egli si immergeva nell’incontro con Dio, pur in mezzo alle molteplici incombenze del suo ministero. E poi la sua testimonianza nella sofferenza: il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una "roccia", come Cristo lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno. Così egli ha realizzato in modo straordinario la vocazione di ogni sacerdote e vescovo: diventare un tutt’uno con quel Gesù, che quotidianamente riceve e offre nell’eucaristia. Beato te, amato Papa Giovanni Paolo II, perché hai creduto! Continua – ti preghiamo – a sostenere dal cielo la fede del popolo di Dio. Amen».

*Andrea Tornielli, vaticanista del quotidiano “La Stampa” è uno dei più accreditati vaticanisti Italiani.

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