1 giugno 2011

Papa:"Non si può adattare Dio ai progetti"

Articolo di Giacomo Galeazzi (La Stampa) - C'è «una tentazione costante» nel percorso di fede, una pretesa «stolta e illusoria»: «eludere il mistero divino costruendo un dio comprensibile, corrispondente ai propri schemi, ai propri progetti». È quanto ha affermato Benedetto XVI commentando, durante l'udienza generale in Piazza San Pietro incentrata oggi sulla figura del profeta Mosè, l'episodio biblico del vitello d'oro. Stanco di un cammino con un Dio invisibile, «il popolo chiede una presenza tangibile, toccabile, del Signore, e trova nel vitello di metallo fuso fatto da Aronne, un dio reso accessibile, manovrabile, alla portata dell'uomo», ha sottolineato il Papa. È questa, ha proseguito, «una tentazione costante nel cammino di fede: eludere il mistero divino costruendo un dio comprensibile, corrispondente ai propri schemi, ai propri progetti». «Quanto avviene al Sinai - ha aggiunto il Pontefice - mostra tutta la stoltezza e l'illusoria vanità di questa pretesa». Perciò il Signore reagisce e dice a Mosè: «Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori». A proposito del ruolo di «intercessore» di Mosè, di «mediatore tra Dio e Israele», il Papa ha spiegato che quel «lascia che la mia ira si accenda» è detto da Dio proprio «perchè Mosè intervenga e Gli chieda di non farlo, rivelando così che il desiderio di Dio è sempre di salvezza». «Questa - ha aggiunto - è la salvezza di Dio, che implica misericordia, ma insieme anche denuncia del peccato, così che il peccatore, riconosciuto e rifiutato il proprio male, possa lasciarsi perdonare da Dio. La preghiera di intercessione rende così operante, dentro la realtà corrotta dell'uomo peccatore, la misericordia divina, che trova voce nella supplica dell'orante e si fa presente attraverso di lui lì dove c'è bisogno di salvezza». In altre parole, ricordando l'antica promessa data ai Padri, «se Dio facesse perire il suo popolo, ciò potrebbe essere interpretato come il segno di una incapacità divina di portare a compimento il progetto di salvezza - ha rilevato Benedetto XVI -. Dio non può permettere questo: Egli è il Signore buono che salva, il garante della vita, è il Dio di misericordia e perdono, di liberazione dal peccato che uccide». Inoltre, «l'intercessore non accampa scuse per il peccato della sua gente, non elenca presunti meriti nè del popolo nè suoi, ma si appella alla gratuità di Dio: un Dio libero, totalmente amore, che non cessa di cercare chi si è allontanato, che resta sempre fedele a se stesso e offre al peccatore la possibilità di tornare a Lui e di diventare, con il perdono, giusto e capace di fedeltà».

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